19 febbraio – 19 aprile 2015 Stimmen in Farbe – voci nel colore
Il Museum am Dom di Würzburg apre l’anno 2015 all’insegna dell’arte italiana contemporanea con le due importanti mostre degli artisti Gaetano Fiore e Mimmo Paladino. I titoli “ Gaetano Fiore – Stimmen in Farbe – Voci nel colore” e ”Mimmo Paladino – Chiffren – Cifre” ne chiariscono già il rispettivo senso.
Gaetano Fiore è da sempre impegnato in una ricerca pittorica ai margini della figurazione e dell’astrazione, operazione tradotta in linguaggi sinestetici i cui riferimenti potrebbero ricondurci, per alcune opere, ad uno spazialismo dal sapore rothkiano e, per altre, ai teneri e lancinanti bagliori dei paesaggi di Ennio Morlotti. Nella mostra “Stimmen in Farbe” si potranno ammirare opere-installazioni che come monologhi s’intersecano e slargano per allentarsi nell’ampio dialogo di pittura e letteratura.
La necessità estetica di decifrare il mistero nelle cose, attendere che nel processo creativo qualcosa si palesi o accada, l’incipiente, stranito e timoroso imbarazzo di perturbare l’ipnotica albedine di una pagina bianca o di una tela immacolata. Ma anche il risoluto coraggio di accogliere la sfida ad incedere, intervenire con la propria impronta, quella calcata da una parola scritta o tracciata da una pennellata.
Voci nel colore, voci che irradiano luce propria e fendono varchi, spalancano finestre ed alimentano affamate fornaci, voci che con il colore segnano un tempo nel tempo e, come radure in un fitto bosco, sussurrano spazi sereni. Ecco quel “chiarore nel bosco”, che dà sollievo con un breve sorriso al pellegrino stanco, desideroso di dimore e giacigli.
Visione onirica e rarefatta, astrazione simbolica ed alchemica, quella dell’artista italiano Gaetano Fiore che dal 2009, attraverso figurazioni (alberi, arbusti, croci, altari, duomi e templi di antica modernità), in una sorta di vertiginose utopie sceniche alla Gordon Craig, crea elementi naturali, ma sacralizzati, con forme e colori nella penombra delle parole.
Una pittura che, impavida per cromie sature e vibranti, traccia sentieri su uno sfondo-cielo con squarci o lacerazioni attraverso cui si slanciano allusioni e rimandi a mondi lontani. Alberi che non solo crescono in acqua, ma materializzano un portico, una soglia, la promessa di un’altra vita. Alberi che si tramutano in urne della memoria e negli alambicchi ove lasciar mirabilmente sedimentare qualche pietra filosofale.
Paolo Puppa così interpreta: “sono gli alberi ad attrarre l’artista, alberi, che (egli) si porta dentro, da qualche idillio adolescenziale, un Segantini, un Previati scarnificati dall’incipiente decorativismo viennese, il suo amico albero ogni primavera si risveglia e rinasce, a differenza del nostro misero corpo che nel mese più crudele, ossia aprile come ricorda Eliot, mescola ricordi e desideri quando è troppo tardi e la carne non risponde più. Insomma, i suoi alberi candelabri alzano le loro braccia in un tripudiante inno di speranza. Basta saperli ascoltare, oltre che guardare abbacinati da tanta forza vincente”.
Unitamente ad una sezione di grafica e di tele ad olio sul tema degli “alberi”, il nucleo centrale di “Stimmen in Farbe“, presenta un ciclo di opere di piccole e grandi dimensioni, ispirate dalla lettura paziente e reiterata dello Stundenbuch di R. M. Rilke.
Andrea Petrai, che da sempre condivide con Gaetano Fiore riflessioni estetiche su pittura e letteratura, scrive nella sua introduzione e presentazione alla mostra:
“l’immersione in esso (lo “Stundenbuch”) induce l’artista a conoscere il testo poetico nelle sue pieghe più recondite, ad interagirvi, metabolizzarlo fino a captarne le suggestioni molteplici. Scaturisce così un’interpretazione originale che preserva lo spirito della fonte, senza ricorrere a descrizioni o parafrasi, mirando bensì ad amplificarne le sonorità nell’amalgama del colore. Gaetano Fiore predilige lo Stundenbuch perché esso è felice esempio poetico di come un’ispirazione meditata riesca a modulare spontaneità con programmaticità. Un’assonanza con il codice estetico in pittura ove forma e contenuto si armonizzano alla maniera di voci che si sciolgono in un canto, l’una come naturale estensione dell’altro. Potremmo dire che il rigore della composizione sigilli l’autonomia del creare, ma che pure la potenzi, in senso romantico, coll’impellenza del fare.
Dare immagine al contenuto e plasticità alla forma diventa quindi il presupposto per stabilire un contatto non effimero con la parola scritta ed incastonarla come una gemma preziosa.
La stessa architettura dello Stundenbuch in tre libri, luoghi concreti e dell’anima in cui fisicità ed astrazione fluiscono incessantemente dal dentro al fuori e viceversa, materializza l’idea istintiva di strutturare l’installazione su tre navate ideali, le tre pareti della sala espositiva principale del Dom Museum di Würzburg. Queste ultime vanno ad accogliere e custodire, come in uno scrigno, icone e polittici dedicati rispettivamente a una delle tre sezioni dell’opera rilkiana.
Nell’opera “Le icone“, relativa al primo libro Vom mönchischen Leben, ispirato dai sessantasette componimenti in versi, Fiore realizza altrettante composizioni pittoriche di piccolo formato disposte nella sequenza di una sorta d’istogramma pulsante su grande spazio.
L’intera sezione “Das letzte Haus“, che si articola in “Trittico delle ore“, tributo al musicista jazz Bill Dixon, e nella serie degli “Arazzi“, si riferisce al Buch von der Pilgerschaft, secondo capitolo dello Stundenbuch. Qui l’icona si dilata in portali e vetrate su tela.
Nel “Polittico del Graal“, dedicato alla terza ed ultima parte Von der Armut und vom Tode, l’assolutezza del colore è preludio alla quieta rivelazione di un tempo maturo che si celebra nella grazia magnetica di una Maestà medievale. Qui si erge un altare su cui campeggia la vacua pienezza di un calice che, con solennità scaturisce dalle onde di un paesaggio, pianura o mare che sia, e si staglia sospeso nell’immenso. Una chiara metafora del raccogliere-diffondere, del ricevere-donare, nonché frutto di una trascendenza personalissima e di una religiosità riconoscente. Solo adesso pare davvero possibile quello sconfinamento tra cielo e terra, verso principio e fine, oltre vita e morte che Jürgen Lenssen aveva già intuito ed anticipato nel suo illuminante saggio “L’albero e il quadrato“ del 2008, analizzando la produzione pittorica di Fiore di quegli anni”.
Il pittore napoletano sintetizza ed astrae in pittura l’esperienza metabolizzata delle sue magnifiche terre di origine, l’energica magia del Vesuvio, i misteri ipnotici di Pompei, ma anche la nostalgia azzurrina dei morbidi paesaggi disegnati dal fiume Tauber e dei boschi enigmatici del sud della Germania, che gli fece conoscere ed amare Uta Rieger, la madre di sua moglie Elisabetta.
Le “voci montanti del tempo“ riecheggiano nelle opere di Gaetano Fiore come nell’alveo di conchiglie perdute nell’abisso e risalgono da profondità ancestrali con la medesima naturale necessità dell’ossigeno che urge verso la superficie.
Per l’inaugurazione alla mostra sono previsti interventi del Dr. Jürgen Lenssen, del prof. Andrea Petrai e dello stesso Gaetano Fiore.